Attenti, si gira...

– Che mondaccio, signor Gubbio, che mondaccio è questo! che schifo! Ma pajono tutti... che so! Ma perché si dev'essere così? Mascherati! Mascherati! Mascherati! Me lo dica lei! Perché, appena insieme, l'uno di fronte all'altro, diventiamo tutti tanti pagliacci? Scusi, no, anch'io, anch'io; mi ci metto anch'io; tutti! Mascherati! Questo, un'aria così; quello, un'aria cosà... E dentro siamo diversi! Abbiamo il cuore, dentro, come... come un bambino rincantucciato, offeso, che piange e si vergogna! (Carlo Ferro: quaderno IV, § 4; pp. 125-126)

Giugno, luglio e agosto 1915, la Grande Guerra: Pirandello pubblicava sulla «Nuova Antologia» il nuovo romanzo a puntate Si gira…, romanzo che finì per apparire, in una nuova edizione nel 1925, come i Quaderni di Serafino Gubbio operatore.

L’inizio del Novecento con i suoi rombi e lampi d’acciaio stava ormai dando i suoi frutti più maturi, quando Pirandello sentì l’esigenza, con questo scritto, di entrare in polemica con la società della tecnica a cui l’uomo moderno — il futurismo in primis — faustianamente credeva di essere eternamente debitore.

Le macchine nel 1915 incombevano e avevano ormai invaso ogni spazio dentro e fuori dell’umano, con la minaccia dei suoni stridenti, del fracasso della guerra, delle morti insensate; è qui che il nostro autore apre un varco da cui far emergere criticamente l’umanità, in modo da potersi riappropriare della narrazione esistenziale e coessenziale al vissuto più autentico attraverso la forma del diario, ma nel modo più informale dei quaderni.

Pirandello, attraverso la riappropriazione del vissuto di Serafino Gubbio, ci introduce nell’analisi di un vissuto che vuole prepotentemente essere riconsegnato all’uomo, per far sì di strappare finalmente all’occhio asettico della macchina il luogo della riflessione, del poter ripensare, dell'umanizzare.

Serafino Gubbio è, infatti, un operatore cinematografico. Mentre lavora deve continuare a girare la manovella della sua cinepresa, anche di fronte alle scene più turpi o raccapriccianti.

Solo nel diario, nel riscrivere il proprio vissuto, può riuscire ad azzerare la macchina ed essere finalmente uomo, uomo spogliato, uomo natura, uomo umanità.

Non sappiamo nulla di Serafino Gubbio, non conosciamo il suo aspetto né il suo retroterra affettivo, ma solo il suo nome. Conosciamo le sue avventure dal suo arrivo a Roma, al suo girovagare in cerca di un alloggio, dal suo depositare la sua valigetta al deposito della stazione, alla vita un po’ bohémienne napoletana che si era lasciato alle spalle. È a Roma che incontra il suo amico Simone Pau, con cui si aggira per le vie della capitale notturna e deserta. Simone e Serafino rappresentano proprio l’emblema del viaggiatore con scarsi bagagli, che si aggira per le strade del mondo, quasi una metafora della precarietà dell’esistenza umana.

Personaggi sradicati che finiscono per essere rappresentazione dell’esistenza stessa. Come simbolico è l’ospizio nel quale depongono i propri abiti per indossare un anonimo accappatoio bianco, simbolo della perdita di identità.

Perdita d’identità che rappresenta l’anticamera della discesa agli inferi, rappresentata dal mondo dominato dalle macchine, di cui immagine netta è la vorace industria cinematografica, messa intenzionalmente e silenziosamente in contrapposizione con l’arte vera della rappresentazione teatrale.

Serafino discende negli inferi rinunciando alla vita per divenire occhio meccanico. In questa abdicazione di impassibile operatore cinematografico riuscirà a riappropriarsi del proprio umano, attraverso la scrittura dei diari, quando finalmente l’immedesimazione con la macchina da presa può essere rimessa in gioco da una riflessione coscienziale.

È la testimonianza della crisi intellettuale in cui approda l’arte rispetto al mondo industriale.

È qui, nei quaderni, che finalmente Serafino-Uomo si fa realmente Coscienza in uno spazio residuo che spetta all’intellettuale che demistifica e svela finalmente l’umano attraverso la funzione critica della coscienza.

– No, grazie. Grazie a tutti. Ora basta. Voglio restare così. Il tempo è questo; la vita è questa; e nel senso che do alla mia professione, voglio seguitare così – solo, muto e impassibile – a far l'operatore.
    La scena è pronta?
– Attenti, si gira... –

2+2 fa ∞

L'analisi critica dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore di Luigi Pirandello offre una prospettiva  sulla visione dell'autore riguardo alla meccanizzazione e alla tecnologia.
Pirandello esprime una forte critica verso la macchina e il processo di meccanizzazione che vede come una minaccia alla vitalità umana e alla profondità dei sentimenti e delle relazioni.
Questa visione si riflette chiaramente nel destino tragico di Serafino, che diventa muto e alienato, e nella morte violenta di Nuti e Nestoroff.

La nostra conclusione è opposta: il neoluddismo porta alla morte dell'umanità.
Occorre riflettere sull'equilibrio tra progresso tecnologico e umanità.
Mentre Pirandello temeva che la meccanizzazione avrebbe distrutto i valori umani fondamentali, noi sosteniamo che il rifiuto della tecnologia e del progresso potrebbe condurre a un'altra forma di stagnazione e declino.

Il concetto di neoluddismo, che richiama il movimento luddista del XIX secolo contro le macchine industriali, può essere interpretato oggi come una resistenza al cambiamento tecnologico. Tuttavia, mentre la tecnologia ha indubbiamente il potenziale di alienare e disumanizzare, ha anche la capacità di migliorare le condizioni di vita e aprire nuove possibilità per l'evoluzione dell'umanità.
Noi suggeriamo che l'umanità deve trovare un equilibrio, accogliendo il progresso tecnologico senza perdere di vista i valori umani fondamentali e la capacità di riflettere criticamente sulla propria esistenza.
Sosteniamo l'importanza di adattarci ed evolverci insieme alla tecnologia, piuttosto che rifiutarla in toto.
Questo approccio integrato è essenziale per evitare l'alienazione totale e preservare l'umanità nel suo insieme.
Il neoluddismo porta alla morte dell'umanità!

Roma, mercoledì 19 giugno 2024
prof.ssa Barbara Gentili
prof. Francesco Verderosa