Storia di Arduino e dei Normanni che presero Melfi

Anno del Signore 1041. La città di Melfi era terra di confine. Longobardi e Bizantini, allora detti Greci, si affrontavano per contendersi il dominio dell’Italia del Sud.

Il Sud, a sua volta, oltre che da costoro, era occupato dai Saraceni, che imperversavano in Puglia e Lucania, risalendo il corso dei fiumi.

Anno del Signore 1041. Arduino era signore di Melfi.

Poco si sa di costui. Pare che fosse un Lombardo, più probabilmente un Longobardo, e che provenisse dal Nord Italia. Alcuni lo definirono servicial o famulus di Sant’Ambrogio vescovo di Milano. Di sicuro sappiamo che egli era una persona di discendenza nobile, che era un guerriero, anzi un condottiero, aveva cultura, poiché parlava più lingue, ed aveva una grande dote oratoria: riusciva a convincere e portare dalla sua parte popoli e principi, tenendo discorsi trascinanti e densi di emozione.

Poco si sa di costui. Ma quello che ci raccontano gli storici è avvincente e merita di essere narrato.

La sua storia comincia in Sicilia, quando un’armata di italici e greci attaccò i saraceni.

Alla testa di un contingente c’era proprio lui, Arduino. Egli guidava cavalieri e fanti longobardi e normanni, in missione per conto di Guaimario IV, principe di Salerno e di Capua, duca di Amalfi, Gaeta eccetera eccetera.

A quel tempo le città dell’attuale Campania, godevano di una certa prosperità, ma le cose stavano per mutare. L’egemonia stava passando nelle mani dei signori longobardi che si accaparravano territori e imponevano vincoli feudali lì dove c’era stata la libertà: la Repubblica marinara di Amalfi, ad esempio, divenne un ducato sotto la sovranità di Guaimario. La Campania Felix si apprestava a diventare Terra Laboris.

Al principe di Salerno il basileus Michele IV Paflagonico, imperatore d’Oriente, aveva chiesto i rinforzi per invadere la Sicilia, occupata dai Saraceni, e Guaimario fornì truppe italiane, longobardi di Salerno e Benevento, e 300 mercenari normanni. Mise a capo del corpo di spedizione italico il longobardo Arduino, mentre alla guida dei 300 Normanni c’era Guglielmo, figlio di Tancredi d’Altavilla, affiancato da due dei suoi tanti fratelli, Umfredo e Drogone.

Quelle truppe di Longobardi e Normanni, ora alleate dei Bizantini, erano costituite forse anche dai veterani scampati alla guerra contro Basilio Boioannes del 1018.

Basilio era stato un famoso catapano, cioè capitano, comandante generale delle truppe bizantine. Egli aveva sedato la ribellione di Melo di Bari e suo cognato Datto.

Ma non divaghiamo. Dopo aver accettato la missione, l’armata partì da Salerno e fu accolta con grande piacere da Giorgio Maniace. Questo Maniace è un personaggio famoso, tanto da essere nominato nelle saghe scandinave, col nome di Gyrgir.

Soffermiamoci un po’ su quest’uomo, perché senza volerlo fu la causa della gloria di Arduino e dei Normanni: volendogli fare un torto, infatti, ne scatenò il valore.

Maniace, secondo gli storici, era gigantesco. Alto e robusto, orbo da un occhio, brutto o bello che fosse era di sicuro un tipo violento. Trattava male i suoi uomini e ciò che succederà ad Arduino ne è la prova. In compenso era molto forte e coraggioso, tanto da combattere in prima fila con i soldati del suo esercito. I nemici lo temevano, quasi quanto gli amici. Lo temeva anche l’imperatore.

Egli era caduto infatti in disgrazia a causa della troppa gloria acquisita a seguito della conquista di Edessa, nella campagna d’Oriente contro i turchi selgiuchidi del 1032.

Al suo rientro a Costantinopoli avrebbe dovuto essere accolto con tutti gli onori, invece trovò ad aspettarlo i variaghi, guardie imperiali di origine scandinava, che lo arrestarono e lo condussero al cospetto del Senato.

I senatori però, ne riconobbero il valore e lo assolsero, non trovando in lui alcuna colpa.

In seguito era stata l’imperatrice Zoe a consigliare al marito Michele IV di porre al comando del contingente bizantino in Sicilia Giorgio Maniace, come stratego autocrator, con la scusa di tenerlo lontano dalla corte bizantina, dove avrebbe potuto oscurare i fasti del basileus, ossia dell’imperatore.

Per assicurarsi che non acquisisse un potere e una forza militare tale da mettere a rischio il trono imperiale, Michele volle che egli fosse affiancato al comando dall’ammiraglio della flotta, Stefano il Calafato, cognato dell’imperatore stesso.

I due non andavano d’accordo, tanto che verso la fine della spedizione in Sicilia quest’ultimo accusò il collega di tradimento e lo fece richiamare in patria, prima di morire egli stesso in battaglia, provocando il fallimento della missione. Ma non anticipiamo troppo la materia.

Torniamo all’inizio della spedizione. Essa fu preparata con cura, aggregando ai soldati bizantini di origine armena, macedone e italica, un contingente di 500 guardie dei mercenari variaghi, al cui comando c’era il futuro re di Norvegia, Harald Hardrada. Ai Maniakatoi, detti così dal nome del catapano, si aggiungevano i konteratoi, lancieri di origine italica, un contingente di arcieri turchi a cavallo e infine i 300 cavalieri normanni.

Maniace attaccò l’emiro ʿAbd Allāh nell’anno del Signore 1038, sul finire dell’estate. Sbarcò in Sicilia e alla guida del forte esercito appena descritto in poco tempo conquistò Messina. Si diresse poi a Siracusa, che assediò per quasi due anni.

Durante questo assedio il compagno normanno di Arduino, Guglielmo d’Altavilla, si guadagnò il soprannome di Ferrebach, ovvero “braccio di ferro” per aver ucciso con una sola mano, scagliando un colpo di lancia, l’emiro di Siracusa.

In effetti i musulmani, sotto la guida dell’emiro, stavano seminando morte tra i nostri. Allora Guglielmo come una furia lo assalì e ingaggiò un’aspra lotta. Infine lo disarcionò e lo finì dopo averlo atterrato.

Nel 1040 l’esercito di Giorgio Maniace combattè tra Randazzo e Troina, dove sconfisse le truppe musulmane.

Per la precisione l’esercito di Maniace affrontò le truppe arabe mentre scendevano dalle rupi di Troina. Lo scontro avvenne in un pianoro tra Meletto e Randazzo, in un luogo ancora oggi detto A scunfitta, dove si trovava un casale chiamato in arabo Giran-ad-Daqiq che significa “Grotte della farina”.

Oggi lì sorge un’abbazia, ma il sangue che vi si versò fu tanto che tinse di rosso la fiumara, ancora oggi detta Saracena.

Dopo la vittoria, Maniace ringraziò la Madonna tramite la fondazione in quel posto di un monastero.

Si narra che il catapano abbia fatto portare nella chiesa una tavola, dipinta dall’evangelista Luca, che rappresentava la Vergine Galaktotrophusa, ossia la Madonna che allatta Gesù Bambino.

Durante la battaglia ebbe un ruolo decisivo la carica dei 300 cavalieri normanni.

I soldati saraceni avevano lanciato dei triboli, chiodi a quattro punte che foravano gli zoccoli dei cavalli; ma i normanni usavano dei ferri a piastre larghe, che permisero ai loro cavalli di attraversare il campo “minato” e scagliarsi contro la linea nemica, sbaragliandola.

Quando i nostri, tornando dall'inseguimento dei nemici, si accorsero che Maniace aveva deliberatamente e ingiustamente diviso il bottino a favore dei Greci, giudicandolo un oltraggio, ne chiesero spiegazione per tramite di Arduino, che conosceva la lingua greca. Tuttavia il catapano, indignato come se avessero avuto la presunzione di entrare in contrasto con la sua autorità, mandò a dire che era possibile per lui trattare il bottino a suo piacimento.

Ma successe di peggio. Durante la battaglia, combattendo valorosamente, Arduino abbatté un cavaliere saraceno. Ne prese il cavallo come bottino. Però il premio era destinato a non durare. Il cavallo di razza araba era bellissimo e fu invidiato da Maniace, che lo pretese per sé. Arduino e i suoi rifiutarono di consegnare il destriero, allora il catapano mandò un drappello di soldati a prelevarlo e Arduino non poté più opporsi. Anzi fu condotto assieme al cavallo al cospetto del generale, il quale ordinò che il condottiero italico fosse spogliato e frustato così, nudo, portandolo in giro per tutto l’accampamento, esposto agli insulti dei Greci, affinché ne ricevesse onta e vergogna lui e tutta la sua gente. Sapeva Arduino che quell’ingiuria sarebbe stata mal tollerata dai suoi. Quando tornò alla sua tenda, infatti, i suoi luogotenenti volevano ribellarsi apertamente e riprendersi con la forza il cavallo. Ma Arduino meditava una vendetta più raffinata e se possibile in grande stile, tale da far pentire non solo lo stesso Maniace, ma tutto l’Impero Bizantino di aver offeso il condottiero, e con lui tutti i guerrieri italici e normanni.

Il condottiero riuscì a trattenere a stento i suoi militi dal ribellarsi apertamente e poi si recò presso lo stato maggiore e, accampando alcune scuse, chiese licenza di ripartire con i suoi per il continente. Arduino godeva dell’amicizia del notaio e segretario di Maniace, quindi ottenne facilmente da lui un chirografo, un documento mediante il quale lui e i suoi potessero passare oltre il Faro di Messina, il tratto di mare che separa la Sicilia dal continente. Una volta ottenuto il permesso, rientrò in Campania, in attesa del momento propizio per vendicarsi.

La trama che tessé era articolata e richiedeva grande astuzia e doti diplomatiche che ad Arduino non mancavano di certo.

Intanto, sulla via del ritorno, si diedero a razziare la Calabria, accumulando ingente bottino e aspettando il momento propizio per mettere in atto un piano di vendetta a dir poco grandioso.

Il disegno era ampio e comprendeva molti passaggi.

La fase uno del piano fu quella di favorire la ribellione dei conterati italici che, di ritorno dalla spedizione in Sicilia, si erano sollevati contro i bizantini.

La fase due del piano consisteva nel recuperare i rapporti con i Greci. Arduino ottenne un finanziamento dal principe di Salerno e unitamente al bottino ricavato in Calabria fu in grado di allestire un’ambasceria presso il Catapano d’Italia Doceano. Costui, avendo ricevuto molti doni e poiché Arduino aveva grande cultura, conoscenza delle lingue latina, italica volgare e greca, e soprattutto grandi doti diplomatiche e buone relazioni con tutte le parti in causa, in cambio gli offrì una carriera nell’amministrazione bizantina. Gli offrì di diventare prefetto di varie città e infine Arduino si ritrovò topoterete di Melfi, una città strategica che si trovava al punto di incrocio fra le due aree di influenza, bizantina e longobarda. Rinforzando il suo ruolo di mediatore tra le due potenze.

E dunque, dopo che la spedizione in Sicilia si era conclusa, tutto l'esercito era tornato in Puglia e, come abbiamo detto, Maniace fu richiamato dall’imperatore a Costantinopoli e in suo luogo fu messo Doceano, nominato catapano d’Apulia o meglio, d’Italia.

Arduino, che covava grande rancore per l'ingiuria ricevuta in Sicilia, si era cattivato il favore di Doceano, donandogli molto oro, e venendo ricevuto onorevolmente.

Dopo essere stato fatto prefetto, Arduino si mostrò benevolo verso tutti coloro che gli erano stati assoggettati, e si mostrò misericordioso verso quelli che lo offendevano in qualche modo.

Egli spesso imbandiva conviti, invitandovi gentiluomini, ma anche persone non di rango nobile, e offriva loro pietanze ricercate. Poi, dopo il banchetto, teneva discorsi amichevoli, mostrandosi più come loro fratello che come giudice, e parlando loro impiegava parole di compassione, e fingeva di essere dolente del gravame che essi soffrivano della signoria dei Greci, e dell'ingiuria che essi facevano alle loro mogli, alle loro donne. Mostrava di sospirare e di pensare all'ingiuria che essi soffrivano da parte dei Greci e prometteva loro di volersi impegnare e lavorare per la loro liberazione.

Tutta questa sottile saggezza era finalizzata a sottrarre la signoria ai dominatori greci che gli avevano fatto ingiuria. Mise il popolo contro di loro, non mostrando esteriormente la sua fortissima ira. Tuttavia la custodiva nel cuore: come il tizzone coperto di cenere che all’improvviso si accenderà in fuoco ardente. Certamente già c’era la legna che li avrebbe arsi tutti.

Tutti lo desideravano per signore, lo consideravano un santo, e tutti proclamavano di volergli obbedire. Quando vide che il momento era giunto, Arduino soffiò per accendere il fuoco.

La cospirazione di Arduino fu possibile per il fatto che il territorio di cui aveva ottenuto il governo era composto da tre etnie: longobardi, greci e italici di diritto romano. Inoltre per poter realizzare il suo progetto, egli aveva bisogno dell’appoggio dei militi del posto. Pur avendo ottenuto il sostegno di queste componenti, il piano risultava azzardato. A quel tempo Apulia e Lucania erano in pace, bizantini e longobardi rispettavano i reciproci confini e all’interno del proprio dominio i primi avevano represso la ribellione, pertanto, almeno in apparenza, il catapano controllava con pugno di ferro il territorio. Ma la situazione era meno stabile di quanto potesse apparire. La ribellione era sempre incombente e aspettava solo l’accensione di una qualche miccia per esplodere.

Non restava che programmare una nuova rivolta, con l’appoggio degli scontenti del domino greco, anche se formalmente Arduino ora apparteneva all’amministrazione bizantina e quindi non poteva schierarvisi contro manifestamente.

Ad ogni modo la voglia di vendetta di Arduino era grande e, grazie all’appoggio del Principe di Salerno e del conte Rainolfo di Aversa, avrebbe fatto di Melfi il punto di partenza di una riscossa italica che avrebbe goduto della man forte dei cavalieri normanni. Questi ultimi erano grandi amici di Arduino sin dai tempi della spedizione in Sicilia e la loro fedele alleanza era un punto saldo nei progetti del condottiero.

Quando fu giunto il momento opportuno, Arduino si mise in viaggio per comporre le alleanze. Partì con la scusa di un pellegrinaggio a Roma, ma andò ad Aversa, la città da poco fondata dai Normanni. Fu ricevuto dal conte Rainolfo Drengot e al suo cospetto pronunciò questo discorso: “Sono venuto qui per accrescere l’onore della vostra maestà e signoria. Ho l’ardire di associare la mia misera condizione alla vostra grande amicizia e, se vorrete dar fede a ciò che vi consiglierò, ne trarrete grande utilità e accrescimento. Da molto tempo siete entrato in questa terra e nelle contrade i cui voi passaste con la forza non avete lasciato eredi.

Chi lascia la propria terra deve cercare per sé di accrescere onore e potenza. Voi siete ancora in questa terra che vi è stata donata e ci abitate come il topo che è nel pertugio, in questo luogo stretto nel quale il popolo si accresce.

Conviene che estenda la vostra manforte lì dove io vi condurrò.

Venite appresso a me e io andrò avanti e voi appresso. E vi dirò il perché io andrò davanti: perché so che vi condurrò da uomini effeminati, cioè uomini come femmine, i quali dimorano in molto ricche e spaziose terre”.

Quando il conte ebbe ascoltato le parole di Arduino, prese la sua decisione. I Normanni promettono di accogliere l’invito e fanno una compagnia e un giuramento con Arduino: giurano che di ciò che acquisiranno consegneranno la metà ad Arduino.

C’erano dodici pari, dodici conti, a capo dei Normanni, i quali si sarebbero dovuti spartire ciò che avrebbero acquisito. Rainolfo assegna loro trecento fortissimi cavalieri normanni ai quali affida il gonfalone della vittoria. E li bacia in bocca e li manda in battaglia per combattere fortemente in compagnia di Arduino, il quale aveva gran volontà di vendicarsi.

La città di Melfi è assisa in un luogo alto ed è attorniata da diversi fiumi ed è chiusa da mura non alte ma sono più apparecchiate di bellezza e fortezza che di altezza.

Questa città è altresì come una porta di Puglia molto forte la quale contrasta i nemici ed è rifugio e ricettacolo degli amici.

In questa città i Normanni entrarono di notte e Arduino pregò i normanni di rispettarla in pace. Ma quelli della città si sollevarono in gran moltitudine e presero le armi e si apparecchiavano a difenderla.

Arduino si mette tra loro e parla ad alta voce: “Questa è la libertà che avete cercato! Costoro non sono nemici, ma grandi amici. Io ho fatto quello che vi avevo promesso: voi fate quello che mi avevate promesso. Costoro vengono per disgiungere il giogo dal quale voi siete legati, dal quale, se ascoltate il mio consiglio, sarete liberati. Dio è con voi! Dio ha misericordia della servitù e della vergogna che voi soffrite tutti i giorni. E per questo ha mandato questi cavalieri: per liberarvi”.

E quando udirono Arduino parlare così, furono d’accordo con lui e fecero un giuramento di fedeltà, una parte verso l’altra.

Il mattino seguente i normanni se ne vanno per campi e giardini. Arduino li guida a Venosa, che si trova nei pressi di Melfi. Lieti e gioiosi sui loro cavalli scorrazzano di qua e di là. E i cittadini della città vedendo quei cavalieri che non conoscevano si meravigliarono ed ebbero paura.

I Normanni presero un bottino grandissimo e senza alcuna briga lo portarono a Melfi.

Il secondo giorno andarono ad Ascoli, dove trovarono uomini più deboli. Di lì spostarono a Lavello, e le cose che gli piacquero se le presero, e quelle che non piacquero le lasciarono. Ma non combatterono perché non trovarono chi li contrastasse.

Si spartirono ciò che avevano preso e si preparavano a prendere il rimanente e saziare la fame di quelli di Melfi.

Molti si rallegravano della debolezza degli uomini che trovavano e confidando solo nella potenza di Dio e nella loro virtù credevano di aver già vinto le città della Puglia e credevano di averle soggiogate. E le stesse città credevano di essere state soggiogate e mandavano ambascerie al catapano Doceano annunciandogli la propria miseria e il danno che avevano ricevuto e, ancora peggio, che si aspettavano di ricevere; e richiesero che egli dovesse chiedere rinforzi all’Imperatore per aiutarli.

Tutto aveva avuto origine dalla strategia di Arduino, che aveva rimodulato le alleanze politiche, ottenendo l’appoggio per il condottiero normanno Guglielmo d’Altavilla, affiancato dai fratelli Umfredo e Drogone, da parte dei signori longobardi Argiro di Bari e Atenolfo di Benevento. Il tutto sotto l’egida del principe di Salerno Guaimaro.

La ribellione degli italici e dei loro alleati normanni, non poteva non provocare la reazione dei greci. Ma le cose si misero male per questi ultimi.

Allarmato, Doceano aveva mosso le proprie truppe fino alle porte di Melfi, accampandosi fuori dalle sue mura.

Dopo aver sistemato l'accampamento in modo da intimidire i Normanni, inviò un araldo a cavallo. Il messaggio era di arrendersi e ritirarsi da Melfi, altrimenti avrebbero subito le ripercussioni della loro avventatezza. L'esercito bizantino era troppo forte e numeroso, secondo il catapano, perché i Normanni potessero pensare di resistere.

L'araldo montava un bel cavallo e restò in sella mentre annunciava il messaggio di Doceano. Gli reggeva le briglie uno dei conti normanni, il gigantesco Ugo Tutebovi. Egli ascoltò il messaggero in silenzio, carezzando il cavallo. Ma quando questi smise di parlare, prima che Arduino iniziasse a rispondere, sferrò un pugno alla testa del cavallo, abbattendolo al suolo con tutto il cavaliere. Ciò valse come risposta dei Normanni, non occorse altro. All'araldo fu dato un altro cavallo, ancora più bello, e quando questi rientrò all'accampamento, ancora terrorizzato, riferì a Doceano il messaggio di Arduino: "Accettiamo con gioia l'onore del combattimento".

Tra Normanni e Bizantini cominciò una guerra sanguinosa e senza pietà.

Le prime battaglie importanti furono quella dell’Olivento e quella di Montemaggiore, con successi rilevanti da parte dei Normanni che segnarono l’avvio della conquista, da parte loro, del Meridione d’Italia, a discapito dell’Impero Bizantino.

Il 17 marzo 1041 fu combattuta la battaglia dell’Olivento, vicino al fiume omonimo, sul confine tra il territorio del melfese e la Capitanata.

Il combattimento sulle rive del fiume Olivento si esaurì nell’arco di una giornata.

L'esercito di Melfi contava mezzo migliaio di fanti e meno di mille cavalieri, a fronte di un imponente schieramento bizantino, forte di migliaia di soldati.

L’esercito dei greci, sotto la guida Michele Dokeianos o Doceano, catapano d’Italia, era partito da Bari con un impressionante schieramento, formato da truppe scelte quali i Variaghi, di origine vichinga e i famosi combattenti scelti provenienti dalla Tracia.

I cavalieri bizantini assaltarono i nostri con diverse ondate, una dopo l’altra. Volevano indebolirli, ma essi resistettero. Ressero l’assalto e attaccarono a loro volta. Sfondarono la linea nemica e misero in fuga i bizantini, di cui molti fuggendo morirono annegati tentando di attraversare il fiume Olivento.

Durante questi scontri i cavalieri normanni furono accaniti e determinati, rivelando tutta la loro ferocia, mossa dalla brama di procacciarsi terre da governare e tesori da amministrare.

La battaglia fu vinta e i Normanni segnarono la tappa iniziale della loro conquista dell’Apulia. Come prima conseguenza essi si impadronirono del territorio del Monte Vulture e delle città che lo circondano.

Il 4 maggio, ossia un mese e mezzo dopo, si scatenò un’altra battaglia. Si combatté a Monte Maggiore, su una modesta altura nei pressi del fiume Ofanto, una landa desolata distante da ogni città, ma punto d’incrocio di molti tratturi per la transumanza di greggi e mandrie, sul confine tra Apulia e Lucania.

Michele Doceano, catapano d’Italia, era fuggito durante la battaglia precedente e si era rifugiato a Bari con le poche truppe sopravvissute. Lì aveva chiesto i rinforzi da Bisanzio e aveva così riorganizzato l’esercito per tentare la riscossa contro i Normanni.

D'altro canto, durante l'intera campagna d'Apulia, l'organizzazione logistica delle armate normanne si basò su una strategia di guerra autosufficiente: le truppe non erano accompagnate da reparti organizzati per la sussistenza, ma si sostenevano esclusivamente sfruttando le risorse del territorio e attraverso azioni di saccheggio sistematico.

In previsione della battaglia, l’esercito formato dai Normanni, dagli abitanti di Melfi e dagli altri italici del Vulture, ormai apertamente ribelli contro i Greci, si era attestato sulla collina per sfruttare strategicamente il vantaggio dato dal rilievo contro l’urto nemico.

Anche stavolta lo schieramento bizantino era imponente, 18.000 soldati …a fronte di 2000 Normanni.

Fu un bagno di sangue.

Alla prima carica, molti soldati greci furono abbattuti dalle spade e dalle lance delle truppe nemiche. 

Fu, ovviamente,  vittoria: varcato l'Ofanto, per i Normanni la via per il dominio d'Apulia era già spianata.

Dopo i fatti di Melfi del 1041 si perdono le tracce di Arduino: gli storici non ne parlano più. 

Non si sa bene che fu del favoloso tesoro che aveva accumulato a seguito della concessione di metà delle conquiste. Non si sa di quali terre abbia ottenuto il dominio. 

Qualcuno dice che a lui sia toccata la Lucania, ma mancano le prove. 

Non abbiamo traccia di eredi. 

Melfi, 17 gennaio 2019

prof. Francesco Verderosa

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